La questio iuris sottesa alla possibile applicazione della predetta causa di non punibilità riguarda il concetto di “atto arbitrario”.
Secondo un primo orientamento della Suprema Corte, perché l’atto si possa definire arbitrario è necessaria la consapevolezza, nel pubblico ufficiale, di star travalicando i limiti e le modalità di esecuzione della propria funzione pubblica. Diversamente, altra parte della giurisprudenza di legittimità, ritiene che sia integrata l’esimente ogni qual volta la reazione del cittadino sia scaturita da un atto del pubblico ufficiale che configuri un reato (es. minacce, percosse) ovvero che sia contrario a norme di educazione e costume sociale.
Di recente, si è espressa nuovamente la Corte di Cassazione, la quale, recependo il principio statuito dalla Corte Costituzionale sul punto, ha affermato che “l’esimente della reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale è integrata ogni qual volta la condotta di questi, per lo sviamento dell’esercizio di autorità rispetto allo scopo per cui la stessa è conferita o per le modalità di attuazione, risulta oggettivamente illegittima, non essendo di contro necessario che il soggetto abbia consapevolezza dell’illiceità della propria condotta diretta a commettere un arbitrio in danno del privato.” [cfr. Cassazione penale, Sezione VI, 26 novembre 2021 - 1 marzo 2022, n. 7255].
Pertanto, una condotta è oggettivamente illegittima quando questa, anche solo per modalità di attuazione, travalichi in maniera disfunzionale il potere conferito al pubblico ufficiale, con il conseguente sviamento dell’esercizio dell’autorità rispetto allo scopo perseguito.
- Davide Boccia